La borsa di Borsellino esposta alla Camera. "No al mito dell'agenda rossa", dice lo storico Lupo


foto Ansa
memoria e ossessioni
Inaugurata l'esposizione della teca contenente la valigetta del magistrato ucciso nella strage di Via D'Amelio. Meloni: "L'Italia ha diritto alla verità". Lupo: "L'agenda rossa è diventata per molti la chiave di tutti i misteri legati a Cosa nostra. Io credo che la chiave di tutti i misteri non esista"
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“Il popolo italiano ha il diritto di conoscere la verità” sulla strage di Via D’Amelio e sulle stragi di mafia. E’ l’auspicio che la premier Giorgia Meloni ha espresso ieri alla Camera, di fronte al presidente della Repubblica Sergio Mattarella e alle massime autorità del paese, in occasione della cerimonia per l’esposizione della teca contenente la borsa di Paolo Borsellino. La valigetta che il magistrato antimafia aveva con sé il giorno del suo omicidio, il 19 luglio 1992, resterà esposta nel Transatlantico di Montecitorio e successivamente trasferita alla commissione Antimafia a Palazzo San Macuto. La borsa, in parte bruciata, venne donata dopo la tragedia dalla moglie di Borsellino, Agnese, al tenente colonnello Carmelo Canale, tra i più stretti collaboratori del magistrato. In quella valigetta si ritiene che ci fosse anche l’agenda rossa nella quale il giudice era solito prendere appunti, ma che non è mai stata ritrovata.
L’“impegno per la verità” sulle stragi, a partire da quella di Via D’Amelio, è stato invocato anche dal presidente della Camera, Lorenzo Fontana, e dalla presidente della commissione Antimafia, Chiara Colosimo, di fronte a una platea dalla quale spiccava la presenza, oltre del capo dello stato, della prima presidente della Cassazione Margherita Cassano (nelle ultime ore nell’occhio del ciclone per la relazione del Massimario sul decreto sicurezza), il vicepresidente del Csm Fabio Pinelli, il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo e altri magistrati di primo piano, come il procuratore di Milano Marcello Viola e quello di Napoli Nicola Gratteri.
Proprio attorno a quest’ultimo, alla fine della cerimonia, si è creato un capannello capitanato da due pesi massimi di Fratelli d’Italia, il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro e il responsabile organizzazione del partito, Giovanni Donzelli. Abbracci, risate e chiacchiere in un clima di particolare confidenza (anche se non è sfuggita al cronista una critica, fatta sempre col sorriso, rivolta dal pm a Delmastro: “Fate troppe riforme, dovete fare un fermo pesca, venite a vedere cosa succede nei tribunali”). Alla fine proprio Delmastro ha portato via Gratteri, prendendolo sottobraccio sempre con un sorriso a 36 denti.
A pochi metri di distanza risaltava la teca con dentro la borsa bruciacchiata di Borsellino. Un evento destinato a rialimentare la campagna sull’agenda rossa scomparsa del magistrato. “Non sappiamo se l’agenda rossa esista ancora, né dove sia, né cosa ci sia possa essere scritto. Eppure questa agenda è diventata per molti la chiave di tutti i misteri legati a Cosa nostra. Io credo che la chiave di tutti i misteri non esista, perché i misteri sono tanti e non necessariamente sono collegati fra loro e spiegabili in un solo modo”, dice al Foglio lo storico Salvatore Lupo. “Anche la borsa di Mussolini avrebbe dovuto contenere le chiavi di chissà quali segreti, ma non è andata così. Ogni volta che ci sono vicende poco chiare, degli intrighi, si tende a dare la caccia a una prova definitiva e nascosta che spiegherebbe tutti gli eventi che non capiamo a pieno. Sarebbe molto comodo avere un libro da aprire e in cui leggere tutti i segreti di Cosa nostra. La fonte delle fonti. Solitamente questo non avviene, e fino ad ora non si vede traccia che possa avvenire con l’agenda rossa di Borsellino”.
L’esposizione alla Camera della borsa di Borsellino si colloca, inoltre, in un contesto piuttosto particolare. Proprio venerdì scorso la procura di Caltanissetta ha fatto perquisire tre abitazioni dell’ex procuratore nisseno Giovanni Tinebra (deceduto nel 2017), il pm che per primo indagò sulla strage di Via D’Amelio e che ora viene accusato, da morto, di aver prelevato l’agenda rossa di Borsellino dalla valigetta dopo la strage. Un’iniziativa, giunta a 33 anni di distanza dei fatti, che non convince Lupo: “La procura di Caltanissetta ancora una volta sposta l’attenzione dalla mafia alle presunte complicità di cui la mafia avrebbe goduto da soggetti istituzionali. Indagando sulla magistratura, la procura di Caltanissetta tende a far passare l’idea che la mafia non era un gran problema e che il vero problema è lo stato. Il pubblico deve stare attento: è come dimenticare che ci sia stata la mafia stragista, che ha preso le sue decisioni. Forse è stata aiutata da qualcuno, ma non è quel qualcuno il soggetto principale di questa vicenda, salvo prove contrarie. D’altronde, tutti i processi che volevano dimostrare che le decisioni prese dalla mafia erano state in realtà prese da qualcun altro sono finiti male. Su questo punto bisogna stare attenti”, conclude Lupo.
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